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Prevenzione contro la peste Suina

Utilizzo di unità cinofile addestrate al rilevamento delle carcasse di cinghiale come strumento di prevenzione e controllo della peste suina africana

ENCI, con il patrocinio di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), LEGAMBIENTE, SIEF (Società Italiana di Ecopatologia della Fauna) e Università Federico II di Napoli, Dip. di Medicina Veterinaria, ha realizzato, a partire dal 2019, un progetto pilota finalizzato alla formazione di binomi conduttore-cane idonei al rilevamento delle carcasse di cinghiale, da utilizzarsi in operazioni di monitoraggio, nell'ambito dei progetti di prevenzione e controllo della Peste suina Africana.

 

 

LA PESTE SUINA AFRICANA

La Peste suina africana (PSA) è una malattia infettiva, altamente contagiosa e spesso letale, causata da un virus appartenente al genere Asfivirus, che colpisce suini e cinghiali, e che è in grado di causare elevata mortalità nei suidi sia domestici che selvatici di qualsiasi età e sesso. 

NON E’ TRASMISSIBILE AGLI ESSERI UMANI, ma ha un vasto potenziale di diffusione, tanto che un’epidemia di PSA sul territorio italiano potrebbe ripercuotersi pesantemente sia sul comparto produttivo suinicolo che sulle attività antropiche, conseguentemente alla definizione delle aree di restrizione dove vengono vietate le attività di campo.

Il virus è noto per la sua alta resistenza alle condizioni ambientali e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni, sopravvivendo all'interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature.

L’elevata resistenza del virus nell’ambiente condiziona fortemente la sua diffusione. Attraverso alimenti, materiali o mezzi contaminati veicolati dall’uomo, questo virus può effettuare salti geografici, che determinano la comparsa della malattia nelle popolazioni di cinghiali, anche a distanza di molti chilometri da quelle infette.

Sulla base di esperienze nazionali (Sardegna) ed estere, attuali e storiche, i possibili scenari conseguenti all’introduzione dell’infezione nel cinghiale, incluso l’impatto sulla suinicoltura e, in generale, sull’economia italiana, hanno portato a stimare che per un solo focolaio di PSA si rischierebbe la perdita di oltre 5.000 posti di lavoro, oltre all’abbattimento di migliaia di maiali e blocco delle esportazioni delle carni e dei salumi di suino.

 

Il genotipo II della malattia, attualmente presente nel territorio dell’Unione Europea, ha fatto la sua prima comparsa nel 2007 nelle regioni caucasiche della Georgia, Armenia, Azerbaigian;

 

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Il 7 gennaio 2022 il Centro di Referenza nazionale per le pesti suine dell’IZSUM ha comunicato la conferma della presenza di un caso di Peste Suina Africana (PSA) in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel Comune di Ovada in Provincia di Alessandria nella regione Piemonte.

In seguito a questo riscontro, le autorità competenti hanno immediatamente messo in atto le misure idonee a definire l’area infetta e a contrastare la presenza del virus al di fuori di essa. Sulla base dell’evoluzione della situazione epidemiologica, nuove misure potranno essere intraprese al fine di contenere la diffusione della malattia.

 


Fonte “centro di referenza nazionale per lo studio delle malattie da pestivirus e asfivirus”

Dopo il rinvenimento dei primi casi sul territorio italiano, grazie al coordinamento del Servizio di Vigilanza Faunistica della Provincia di Alessandria, due unità formate nell’ambito del progetto sono intervenute per affiancare le squadre di monitoraggio del territorio.

LINK: PDF monitoraggi Alessandria

Considerata la preoccupazione sulla possibile diffusione del virus in altre zone d’Italia, alcune Regioni hanno chiesto la collaborazione di ENCI per la formazione di ulteriori squadre cinofile addestrate al rilevamento delle carcasse di cinghiale.

 

L’IMPORTANZA DELLA RIMOZIONE DELLE CARCASSE

Nel controllo ed eradicazione della patologia, lo smaltimento efficace e sicuro delle carcasse infette di animali morti svolge un ruolo cruciale, vista l’estrema resistenza ambientale del virus che sopravvive, per esempio, nelle carni infette, fino a 4 anni.

Proprio per questo motivo, per ciò che concerne la PSA, la presenza di carcasse sul territorio rappresenta una delle maggiori cause di mantenimento della malattia sul territorio, ed il loro smaltimento è uno degli obiettivi più rilevanti per il contenimento della patologia. 

Dall'inizio del 2015, con diverse direttive europee, è stato evidenziato il ruolo epidemiologico delle carcasse nel mantenimento della patologia nel territorio, e la loro individuazione e successivo smaltimento secondo buone prassi, sono strategie previste nell'elenco delle misure da attuare per il controllo della PSA nei cinghiali selvatici nell'UE. 

(https://ec.europa.eu/food/sites/food/files/animals/docs/ad_control-measures_asf_wrk-docsante2015-7113.pdf)

In assenza di situazioni patologiche, la mortalità naturale dei cinghiali rappresenta circa il 10% (Keuling et al., 2013; Toigo et al., 2008). L'affidabilità del sistema di segnalazione delle carcasse, e quindi il rilevamento della PSA nella fase di incursione ed invasione del virus nella popolazione, è misurata attraverso il numero di cinghiali morti rinvenuti nel territorio.

In genere, tuttavia, solo una piccola percentuale di carcasse (<10%) viene normalmente trovata e distrutta in modo sicuro nella maggior parte degli habitat dei cinghiali (EFSA, 2015), pertanto il virus viene rilevato piuttosto tardi, già durante il periodo epidemico successivo ad una invasione riuscita.

In pratica, quella che viene percepita come la fase di invasione (ad esempio il primissimo rilevamento di una carcassa infetta) è, in realtà l'esordio, a volte anche il picco, di un'epidemia silente con un gran numero di carcasse infette già ampiamente presenti nell'area.

I rapporti dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) suggeriscono di impiegare cacciatori e silvicoltori, riconosciuti come i principali conoscitori delle aree di presenza del cinghiale, per la ricerca attiva delle carcasse. 

Tuttavia, l’inaccessibilità di alcuni luoghi (sottoboschi densamente fitti, roveti, paludi, etc), rende difficile agli operatori la visibilità ed il rinvenimento delle carcasse. 

Inoltre è difficoltoso operare su grandi scale spaziali esclusivamente con questi operatori.

Entrati nella successiva fase epidemica, a causa del ruolo epidemiologico svolto dalle carcasse, la semplice riduzione della densità della popolazione di cinghiali ha un valore accessorio se le carcasse non vengono rinvenute e rimosse in modo sicuro; la presenza di carcasse infette consente la continua persistenza del virus nell’ambiente anche se la popolazione di cinghiali infetti viene gestita a densità estremamente bassa. Durante questa fase, le probabilità di eradicare la malattia sono estremamente basse a causa dell'elevato numero di cinghiali infetti presenti. È solo nella successiva fase endemica che l'infezione ha una certa probabilità di essere eradicata, ma se e solo se, oltre ad una drastica riduzione della popolazione ospite, viene effettuato anche una efficiente rimozione delle carcasse sotto severe misure di biosicurezza.

Essere in grado di rilevare rapidamente le carcasse dei cinghiali risulta, pertanto, fondamentale, nell’ambito delle strategie di prevenzione e controllo della PSA, ed è per questo motivo ENCI ha realizzato questo primo progetto sperimentale per la preparazione di cani da detection, addestrati al rilevamento delle carcasse di cinghiale.

 

 

Tali cani, infatti, hanno un potenziale di utilizzo molto più ampio rispetto all’impiego di operatori umani, e sintetizzabile attraverso i seguenti punti

  • maggiore efficacia: utilizzando l’olfatto anziché parametri visivi, il cane può infatti ispezionare più velocemente le aree soggetto ad indagine, comprese quelle di difficile accesso e percorribilità;
  • monitoraggio non invasivo: il lavoro di un cane da detection si svolge sotto il controllo del conduttore ed in silenzio, così da limitare il disturbo alla fauna non target presente nelle zone di monitoraggio e ridurne il rischio di un eventuale allontanamento, su lunghe distanze, da tale zona;
  • assenza di contatto con il target di ricerca: i cani sono addestrati alla cosiddetta “segnalazione passiva”, ovvero a segnalare la presenza del target immobilizzandosi o sedendosi in prossimità dello stesso senza avere alcun contatto con esso;
  • possibilità di coprire in modo più capillare, efficace e veloce dell’area di ricerca, soprattutto in caso di fitta vegetazione;
  • potenziale riduzione dell’utilizzo di personale

Il monitoraggio, in ambito sanitario, condotto mediante l’ausilio di cani da detection appare, pertanto, costituire una risposta rapida ed efficace alle problematiche connesse con la necessità del reperimento delle carcasse degli animali che rappresentano il punto centrale in un programma in cui l’early warning è essenziale per ridurre gli ingenti impatti che questa malattia può causare alle attività antropiche nonché alla specie e a quanto dipende da essa.

 

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